8 luglio 2008

Vendere e vendersi (per non Svendersi)

Questa mattina, sul treno, pensavo al marketing, alla pubblicità e a tutta una serie di messaggi che il mondo che ci circonda ci lancia.
Pensavo anche a quando frequentavo ancora il liceo e soprattutto a quando, anche dopo aver studiato in quantità pari o superiore ad alcuni miei compagni, venivo interrogata e ottenevo un voto che non mi soddisfaceva.
Era spesso inferiore a quello che mi aspettavo o a quello che avrei desiderato.
Mi dicevano: "Non basta essere preparati, bisogna sapersi vendere".
Avevo alcuni compagni che, a quanto pare, sapevano vendersi molto bene.
Mi piacerebbe sapere che vita stanno facendo ora, se sono già arrivati da qualche parte o se ci stanno per arrivare.
Con la loro abilità nel vendersi posso immaginare che stiano avendo parecchio successo.
Vendersi bene.
All'università credo di aver imparato un po' anche io a vendermi, dal momento che a volte ottenevo risultati superiori alla fatica tecnica che avevo fatto.
In parole semplici: pur studiando poco, davvero poco certe volte, sono riuscita a portare a casa anche qualche lode.
E immancabilmente, arrivava la lode quando avevo studiato meno.
Ricordo che mi trovavo spesso a pensare: "Toh, meno si studia e più si ottiene!".
Ma non è una legge universale; solo, quelle volte, riuscivo ad ottenere il massimo risultato col minimo sforzo. Vendendomi bene.
Il problema è che non avevo mai razionalizzato, fino ad oggi, i motivi di quei successi.
E stamattina, ripensando a tutto questo, mi è balenato in mente il concetto del vendere e del vendersi.
Giovedì ho un colloquio di lavoro.
Devo mettercela tutta per vendermi bene, tanto più che l'ambito lavorativo sarebbe quello del marketing.
Pensateci: attorno a noi siamo pieni di cose, di oggetti, di prodotti.
Questi prodotti hanno un valore e noi li compriamo perchè hanno un valore. Reale o immaginato, ce l'hanno.
Dal detersivo per fare il bucato, al cibo che mangiamo, alla televisione che abbiamo in salotto.
Dall'automobile che guidiamo, al libro che abbiamo comprato in libreria, al cellulare che teniamo acceso persino di notte.
Tutto questo ha un valore.
Esistono decine di detersivi diversi, decine di marche di pasta, decine di marche e tipi diversi di televisione.
Esistono un sacco di automobili diverse per tipologia, concessionaria, colore, prezzo, comfort.
Eistono centinaia di libri su uno stesso argomento, così come ci sono talmente tanti modelli di cellulare da aver l'imbarazzo della scelta.
Eppure, quando acquistiamo il detersivo, la pasta, la televisione, l'automobile, il libro o il cellulare, compriamo quello lì.
Non uno a caso. Proprio quello lì.
Perchè?
Ok, tanti penseranno: "Perchè è quello che costa meno".
Ma se riflettete bene, ci sarà qualcuno che penserà: "Perchè è quello che lava meglio", "Perchè è la più buona", "Perchè la qualità di immagine e colori è migliore", "Perchè è quella più accessoriata" (o più comoda, più sportiva, che si parcheggia meglio ecc.) eccetera.
C'è sempre un motivo per cui scegliamo di comprare quella cosa piuttosto che un'altra della stessa categoria.
Il motivo è il valore.
Per noi, ciò che acquistiamo ha un valore e rispecchia in un modo o in un altro i nostri valori.
Non sto parlando quindi solo di valore economico, ma anche di valore etico, morale, ecologico.
C'è addirittura chi, come Floch, semiotico e pubblicitario professionista, ci ha costruito un suo "quadrato", spiegando come ogni prodotto ha 4 tipi di valorizzazione:

- pratica (utilità dell'oggetto)
- critica (convenienza economica)
- ludica/estetica (capacità di attrarre la simpatia e il divertimento dell'individuo)
- utopica (senso sociale)

In sostanza, quando scegliamo di acquistare proprio quella cosa, tra tante altre più o meno simili, operiamo una scelta basata sull'utilità che quella cosa ha per noi; sulla convenienza che ne traiamo economicamente, ma non solo; sul fatto che quella cosa ci piace esteticamente e in qualche modo ci rappresenta e su come ci può far sentire all'interno del contesto sociale.
Funziona un po' come la straordinaria somiglianza che talvolta accomuna cani e padroni.
Ma il punto è che il quadrato di Floch non si adatta solo alle cose, ma anche alle persone, secondo me.
Anche noi siamo prodotti.
Il problema è proprio nel valore che attribuiamo a noi stessi.
Sentirsi un prodotto non fa proprio piacere, ma è perchè siamo bombardati ogni giorno da messaggi (specialmente televisivi e pubblicitari) che ci mostrano le persone come prodotti oggetto, privi di un valore esistenziale proprio.
Dotati solo di un valore esterno, per gli altri.
Ecco come da prodotto di valore, diveniamo prodotti svalorizzati.
Ecco come dal vendersi bene si passa automaticamente allo svendersi.
Ecco che considerarci un prodotto diventa una cosa brutta.
Provate a pensare a quanto valete.
Stimate una cifra per il vostro valore.
Ora pensate al vostro lavorob e a quanto vi pagano.
Lasciando per un momento da parte il caro vita, il potere d'acquisto eccetera eccetera, vi sembra abbastanza?
Se doveste cambiare lavoro, o iniziarne uno nuovo, e vi chiedessero: "Qual è il netto mensile minimo, per meno del quale non lavoreresti?", cosa rispondereste?
Quella cifra è il valore che vi date. Quella cifra indica quanto pensate di valere.
Anche ammettendo di valere poco, in termini economici, perchè state iniziando un nuovo lavoro e non avete ancora tutte le competenze per sovlgerlo al meglio, converrete con me che ogni mese ne acquisterete sempre un po' di più, non è vero?
Ma allora perchè gli stipendi restano fissi?
Se penso a me stessa, potrei dire che, per il mio bagaglio di conoscenze pregresse, per la mia conoscenza enciclopedica del mondo, varrei non meno di 1200 euro nel momento in cui dovessi iniziare un nuovo lavoro adesso.
Però penso anche che di mese in mese potrei acquisire competenze ed esperienza per 250 euro.
Immaginate un lavoro, il cui stipendio aumenta di 250 euro al mese, all'infinito, perchè le conoscenze aumentano all'infinito?
No, non sono qui a dirvi che esiste. Oddio, forse esiste anche, ma non lo conosco e non riesco nemmeno a immaginare che tipo di lavoro potrebbe essere e come potrebbe essere gestita un'organizzazione simile.
Lo scopo di tutta questa mia riflessione era solo quella di soffermarmi un attimo sul significato della propria essenza e sul proprio valore.
Forse non esisterà nella realtà un lavoro il cui stipendio aumenta di 250 euro ogni mese, ma sono assolutamente convinta che, imparando a darci il valore che davvero meritiamo, impareremo a venderci meglio.
E siamo tutti d'accordo che sapersi vendere è un'arte che da qualche parte porta.
E sapete cosa intendo.

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